Le mie passeggiate a Venezia
Nasco a Venezia, eppure non ci ho mai vissuto. Ho però la fortuna di poterci tornare e di trascorrerci lunghi periodi.
Un legame indissolubile e intimo. Radici invisibili, sottili linee di consuetudini e di affetti che senza nessun preavviso la pandemia ha incredibilmente spezzato. Zone rosse, paura, immobilità. Lunghi mesi durante i quali ho avvertito una mancanza quasi fisica di quella luce, di quegli spazi urbani, del suono delle voci nelle calli, perfino dell'odore dell'acqua salmastra. Malinconia, nostalgia. Più di un anno passato a ripensare Venezia senza poterci più andare.
La mente invasa da sensazioni e immagini che appaiono e scompaiono. E che non riesco a riordinare. Poi il ritorno, appena è stato possibile, in una Venezia deserta, ancora sgombra dei soliti fiumi di turisti. Nel silenzio vuoto di quei giorni, mi sono immersa in un gioco infantile, mio da sempre: la sfida di sperdersi tra calli, campielli e fondamenta alla ricerca di un ponte, di un palazzo, di un portico, di un angolo perduto.
E di arrivarci attraverso vie sempre diverse, senza nessun controllo sui miei passi, in solitudine. In questo continuo rimpiattino, la città mi sfugge, mi accoglie, un po' anche mi inganna, ma alla fine trova sempre il modo di ripagarmi. Sbattendomi in faccia le sue più nascoste meraviglie. Che fotografo, per non dimenticare. E che poi faccio mie sulla tela, insieme agli inganni della memoria che ho scelto di fissare nei miei lavori. Angoli, scorci e paesaggi del ricordo che ho voluto sospendere tra cielo e laguna, senza nessun rispetto della toponomastica e della realtà.
E' il gioco, la sfida che continua a colpi di pennello; quel magico disorientamento fantastico e onirico che si poggia sulle pietre, sui masegni e sugli infiniti riverberi della città che è in me, pur lontana da me. Anna Scutari
Un legame indissolubile e intimo. Radici invisibili, sottili linee di consuetudini e di affetti che senza nessun preavviso la pandemia ha incredibilmente spezzato. Zone rosse, paura, immobilità. Lunghi mesi durante i quali ho avvertito una mancanza quasi fisica di quella luce, di quegli spazi urbani, del suono delle voci nelle calli, perfino dell'odore dell'acqua salmastra. Malinconia, nostalgia. Più di un anno passato a ripensare Venezia senza poterci più andare.
La mente invasa da sensazioni e immagini che appaiono e scompaiono. E che non riesco a riordinare. Poi il ritorno, appena è stato possibile, in una Venezia deserta, ancora sgombra dei soliti fiumi di turisti. Nel silenzio vuoto di quei giorni, mi sono immersa in un gioco infantile, mio da sempre: la sfida di sperdersi tra calli, campielli e fondamenta alla ricerca di un ponte, di un palazzo, di un portico, di un angolo perduto.
E di arrivarci attraverso vie sempre diverse, senza nessun controllo sui miei passi, in solitudine. In questo continuo rimpiattino, la città mi sfugge, mi accoglie, un po' anche mi inganna, ma alla fine trova sempre il modo di ripagarmi. Sbattendomi in faccia le sue più nascoste meraviglie. Che fotografo, per non dimenticare. E che poi faccio mie sulla tela, insieme agli inganni della memoria che ho scelto di fissare nei miei lavori. Angoli, scorci e paesaggi del ricordo che ho voluto sospendere tra cielo e laguna, senza nessun rispetto della toponomastica e della realtà.
E' il gioco, la sfida che continua a colpi di pennello; quel magico disorientamento fantastico e onirico che si poggia sulle pietre, sui masegni e sugli infiniti riverberi della città che è in me, pur lontana da me. Anna Scutari